Quante incognite nell’Intelligenza artificiale
In via convenzionale si definisce “inteligenza” artificiale tutto ciò che ci appare ben emulare quella umana. In realtà la linea di separazione tra l’una e l’altra è data da un smplice test, il Test di Turing, rimasto a guardiano tra i due mondi e il cui referto stabilisce l’appartenenza all’uno o all’altro mondo.
Angiolino LONARDISettembre 19, 2024
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Alcune discipline, in particolare le 3 fasi di sviluppo della Cyborg, a partire dagli anni 80 sono venute in soccorso alla solitudine del Test di Turing. La necessità di comprendere bene se e dove esista un confine tra l’umano e il non umano, a proposito di intelligenza, moltiplica la specializzazione delle cattedre universitarie in tutto il mondo ma non entra nel mondo delle imprese sempre più alle prese con risultati, applicazioni e innovazioni che lasciano in fondo e sullo sfondo il tema, soprattutto se si occupano del funzionamento del corpo umano e la piacevolezza del suo vivere e abitare il mondo. Schematizzando oltre il lecito, dopo le prime 3 fasi di sviluppo della ricerca Cyborg, quando arrivò la quarta fase del suo sviluppo e si trattò di impiantare permanentemente schede suppletive in grado di modificare permanentemente i comportamenti, le performance umane, con possibilità di trasmissione alle generazioni future i miglioramenti intervenuti grazie all’intelligenza artificiale e i suoi indubitabili miglioramenti apportati in alcuni ambiti quali ad esempio il ciclo sonno-veglia.
Dalla debole linea di demarcazione di questi due mondi, l’artificiale e l’umano, non nasce un semplice fraintendimento linguistico. Sono secoli che fraintendiamo la nostra cultura di provenienza, quella greca, dove pure era ben presente la distinzione tra nous e metis. Il primo definisce l’intelligenza astratta, disimpegnata da ogni vincolo con il «fare». Ben diversa è, invece, la metis, l’intelligenza attiva ed esecutrice, preposta all’azione, e dunque provvista di abilità e di prudenza, di astuzia e pazienza. Il nous contempla. La metis, come la creatività, genera.
A distanza di quasi due anni dall’avvento di Chat GPT e a distanza soprattutto dalla sorpresa che ha generato in milioni di utenti, l’interesse e l’attenzione hanno lasciato spazio anche a disincanto e preoccupazioni dinnanzi alla concreta utilità che possono rappresentare nel mondo del lavoro. Up-work, ad esempio, è una società di selezione del personale che opera nel Regno Unito. Registra una vera e propria frattura tra le ambizioni di incremento della produttività che la IA mette a disposizione dei dipendenti e dei collaboratori e che effettivamente ha riguardato il 77% dei casi: ma questi gli utenti dei vantaggi introdotti hanno affermato – di contro- di aver dovuto lavorare di più, imparare ad usare gli strumenti introdotti, verificare la coerenza e l’accuratezza delle risposte e servirsene nella banalità ordinaria del mansionario, senza avere alcuna precisa idea di come poter impiegare tutta questa intelligenza.
Non si tratta di una discrepanza registrata solo nel Regno Unito. Essa è stata certificata anche in una specifica ricerca che la School of Management MIB di Trieste ha realizzato in merito alla adozione della IA Generative presso le imprese italiane, dalla quale emerge che due delle principali ragioni che frenano l’utilizzo della IA sono il derivato della mancata identificazione di chiari ambiti di applicazioni e la penuria di competenze nell’uso degli strumenti da parte del personale. Dopo Chat GPT è arrivato Perplexity e Claude, tutti e due più avanzati e sofisticati nelle risposte e nelle proposte. Meno note di Chat GPT perché più complesso il vantaggio competitivo necessario per un utilizzo intensivo ed efficiente.
Chat GPT Cyborg IA IA generativa
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