L’intelligenza artificiale salverà o ammazzerà i giornalisti?

Potenzialità, problemi e scenari sull'Intelligenza artificiale. Caso New York Times e non solo. L'intervento di Marco Mayer

29 Dicembre 2023 07:51

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L’intelligenza artificiale salverà o ammazzerà i giornalisti?

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Ho chiesto a Bard di scrivere un articolo con le notizie più recenti di Alexei Navalny. Ecco il risultato. Non so cosa ne pensano i lettori di Startmag, ma a me pare un testo accettabile – per quanto limitato alle informazioni di base; una specie di “Bignami”.

Il fatto che l’Intelligenza Artificiale sia in grado di scrivere articoli “sommari” come quello appena citato non dovrebbe preoccupare i giornalisti. Anzi, la mia opinione è che in futuro potrebbe essere vero esattamente l’opposto. La recente invenzione di tecnologie in grado di scrivere testi informativi “standard” potrebbe consentire ai giornalisti di fare meglio il loro mestiere.

Le piattaforme di Intelligenza Artificiale (mi riferisco ovviamente a quelle basate su fonti affidabili e non “depistanti”) producono un “minimo comune denominatore informativo” che costituisce uno stimolo per affrontare in modo originale una nuova storia.

Gli spunti forniti dall’Intelligenza Artificiale fotografano i contorni in cui si è sviluppata una determinata vicenda e sono in grado di seguirne l’evoluzione in tempo reale. Il vantaggio è che si elimina il rischio di ripetizioni (magari involontarie), si evitano lunghe ricerche di archivio e altre inutili perdite di tempo.

L’ uso di piattaforme tecnologiche di AI consente già oggi ai giornalisti di concentrare le proprie energie sulle attività professionali più qualificanti: scavare alla ricerca di nuove notizie, scoprire cosa si muove dietro le quinte, allargare lo sguardo sul contesto, aggiungere note di colore e last but non least avere più tempo per gli scoop.

Le tecnologie di Intelligenza Artificiale sanno scrivere testi sulla base di ciò che esiste (e dei continui aggiornamenti dei dati da cui attingono), ma allo stati degli atti non sono in grado di produrre un reale valore aggiunto, ovvero scoprire una notizia di cui nessuno ha mai scritto o parlato.

In altre parole, è vero che la AI è in grado di scrivere articoli che prima non esistevano, ma i testi prodotti non possono superare alcuni limiti invalicabili che costituiscono l’ essenza stessa del lavoro giornalistico.

Le nuove piattaforme tecnologiche possono sostituire ad alcune attività tradizionali che un cronista e/o un editorialista era “costretto” a svolgere.

Ma la macchina non sa contattare (e possibilmente coltivare) una fonte riservata, non è capace di telefonare ad un VIP nella speranza di strappargli un’indiscrezione, non è in grado di “immergersi” da turista in un resort di lusso nella speranza di intervistare un leader politico in vacanza. E infine è bene non dimenticare che solo un giornalista professionista è in grado di progettare una inchiesta giornalistica inedita commissionata dal suo editore.

Per i motivi che ho elencato, i giornalisti non dovrebbero aver paura delle nuove tecnologie, ma molto più semplicemente utilizzarle quando servono e quanto basta.

Le nuove tecnologie – almeno potenzialmente – offrono ai giornalisti più tempo da dedicare alla loro istinto investigativo, alla loro curiosità e alla loro creatività.

Tuttavia, come sempre, c’è il rovescio della medaglia. L’Intelligenza Artificiale toglie alibi a chi si accontenta di riprodurre discorsi già fatti, di rilanciare con qualche virgola in più i take delle agenzie di stampa, di riverniciare storie già raccontate.

Fin qui i giornalisti. Certo, molto non dipende da loro.

Per i pochi editori rimasti “puri” il discorso è completamente diverso perché (almeno nei paesi in cui vige la libertà di stampa) non possono permettersi che i grandi gruppi tecnologici attingano gratuitamente alle informazioni che hanno prodotto (e che dovrebbero essere riservate agli abbonati sulla base delle disposizioni in materia di proprietà intellettuale) per consentire le operazioni di deep learning indispensabili per far funzionare le piattaforme di Intelligenza Artificiale.

In alcuni casi si è trovato un accordo (per esempio con la partnership tra Springer e Open AI), in altri invece dopo vari tentativi di trovare un’ intesa si è giunti al contenzioso legale.

Pochi giorni fa il 23 dicembre scorso il New York Times ha fatto causa a Microsoft alla Corte di Manhattan. Più che prendersela con le innovazioni tecnologiche, la preoccupazione dei giornalisti (e dei lettori) dovrebbero indirizzarsi verso i processi di immensa concentrazione del potere che è (non solo in campo editoriale) il maggior rischio che affligge le società digitali in cui siamo immersi e che ha smentito le rosee speranze di sociologi e computer scientist.

Penso che si debba distinguere quanto dei giornali è già pubblico on line consultabile nel web gratuitamente e quanto si può leggere solo pagando.

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DI MARCO PANELLA