Anche Condé Nast cede a OpenAI
Condé Nast ha accusato Perplexity AI di plagio ma darà in pasto a OpenAI articoli di Vogue, Vanity Fair, The New Yorker e molte altre sue riviste dietro compenso. È l'ultimo accordo tra la software house e un editore che preoccupa i giornalisti. Tutti i dettagli
22 Agosto 2024 12:13
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La lista degli editori che stringono accordi con la software house di ChatGpt si allunga. Dopo News Corp, Vox, The Atlantic, Time e Axel Springer, l’ultimo ad aver trovato un’intesa con OpenAI è Condé Nast, celebre gruppo newyorkese che pubblica alcune tra le riviste più note a livello mondiale, tra cui Vogue, Vanity Fair e The New Yorker.
La partnership consentirà all’azienda guidata da Sam Altman di integrare i loro contenuti in ChatGpt e SearchGpt, il progetto sperimentale con cui OpenAI si pone in diretta concorrenza con i motori di ricerca. E principalmente con Google.
L’ACCORDO TRA OPENAI E CONDÉ NAST
Sul blog del suo sito OpenAI ha annunciato che l’accordo pluriennale con Condé Nast prevede l’uso di contenuti di “Vogue, The New Yorker, Condé Nast Traveler, GQ, Architectural Digest, Vanity Fair, Wired, Bon Appétit e altri ancora”, all’interno dei loro prodotti, tra cui ChatGpt e il prototipo SearchGpt.
“Nell’ultimo decennio, le notizie e i media digitali hanno dovuto affrontare sfide impegnative, in quanto molte aziende tecnologiche hanno eroso la capacità degli editori di monetizzare i contenuti”, ha scritto il Ceo di Condé Nast, Roger Lynch, ai dipendenti in una nota riportata da Semafor. “La nostra partnership con OpenAI inizia a compensare parte delle entrate, permettendoci di continuare a proteggere e investire nel giornalismo e nelle nostre iniziative creative”.
Non è chiaro quanto OpenAI pagherà a Condé Nast per la partnership.
LE ACCUSE DI PLAGIO DI CONDÉ NAST A PERPLEXITY AI
Lynch ha aggiunto che l’accordo consentirà al gruppo di “abbracciare le nuove tecnologie garantendo al contempo un’adeguata attribuzione e compensazione per l’uso della nostra proprietà intellettuale”. A inizio anno l’ad di Condé Nast aveva infatti avvertito che le aziende del settore dei media potrebbero andare incontro alla rovina finanziaria a causa delle società di IA che copiano contenuti senza autorizzazione.
E circa un mese fa ha accusato di plagio Perplexity AI, la startup di ricerca online valutata 3 miliardi di dollari e sostenuta da investitori di alto profilo, tra cui Bezos e Nvidia. La mossa arriva dopo azioni simili intraprese da Wired (testata tecnologica di Condé Nast) e Forbes, che ha accusato la startup di aver rubato testi e immagini per alimentare le sue risposte generate dall’IA in una “violazione intenzionale” dei diritti di copyright.
A fine luglio Perplexity AI ha detto che inserirà annunci pubblicitari nel suo motore di ricerca e condividerà una parte dei potenziali ricavi pubblicitari con gli editori che si iscrivono a un apposito programma. Tra i primi partner figurano Time, Fortune, The Texas Tribune, Der Spiegel e Automattic, l’azienda dietro WordPress.
COSA VUOLE FARE OPENAI CON SEARCHGPT
Se Bezos prevede che Perplexity AI superi Google nella ricerca, Altman non vuole certo restare a guardare e con SearchGpt ha intenzione di conquistare il settore. Secondo molti analisti infatti la tecnologia dei chatbot è vista come una parte fondamentale dei motori di ricerca internet del futuro.
“Con l’introduzione del prototipo SearchGpt, stiamo testando nuove funzionalità di ricerca che rendono più veloce e intuitiva la ricerca di informazioni e fonti di contenuti affidabili. Stiamo combinando i nostri modelli di conversazione con le informazioni provenienti dal web per fornire risposte rapide e tempestive con fonti chiare e pertinenti”, si legge sul blog di OpenAI. “SearchGpt offre collegamenti diretti alle notizie, consentendo agli utenti di esplorare facilmente contenuti più approfonditi direttamente dalla fonte. In futuro abbiamo intenzione di integrare il meglio di queste funzionalità direttamente in ChatGpt”.
ACCORDI E DISACCORDI
Condé Nast dunque si unisce al già corposo elenco di editori e giornali che hanno stretto accordi con OpenAI. Tra loro Associated Press, Axel Springer, The Atlantic, Dotdash Meredith, Financial Times, LeMonde, NewsCorp, Prisa Media, Time, Vox Media e altri.
Ma per i tanti sostenitori delle partnership con OpenAI c’è anche qualcuno che, al contrario, gli fa la guerra. È il caso del New York Times, che l’anno scorso ha citato in giudizio l’azienda di IA e Microsoft per aver rubato dai suoi contenuti. Al suo fianco anche il Center for Investigative Reporting, la più antica redazione no-profit degli Stati Uniti, Chicago Tribune, New York Daily News, The Intercept, Raw Story e AlterNet.
Inoltre, come ricorda The Verge, “OpenAI e Microsoft non sono gli unici a essere sotto il fuoco delle controversie sul copyright in questo settore. Getty Images ha citato in giudizio Stability AI per aver addestrato modelli utilizzando le sue immagini protette e Universal Music Group ha fatto lo stesso con Anthropic, sostenendo che distribuisce e ricrea testi senza attribuzione”.
Tra l’altro, proprio nei confronti di Anthropic è in corso una class action in California, dove tre autori sostengono che abbia usato impropriamente i loro libri e centinaia di migliaia di altri per addestrare il suo chatbot Claude.
GIORNALISTI, I GRANDI ESCLUSI DAGLI ACCORDI
Ma ai giornalisti chi ci pensa? I primi a essere interessati da questi accordi sono anche coloro che non vengono coinvolti. Il Ceo di Condé Nast ha parlato di protezione del copyright e di grande intesa con OpenAI, di cui ha lodato la trasparenza e la collaborazione, tuttavia sono molti i giornalisti che temono per il proprio lavoro.
Come ha scritto Tech Crunch relativamente ad altri accordi stretti da OpenAI con gli editori, tutti i giornalisti da loro intervistati hanno dichiarato di essere semplicemente stati informati a giochi fatti e di non aver avuto “il minimo sentore che il proprio lavoro sarebbe stato consegnato a OpenAI”. Inoltre, “tutti sono preoccupati che i loro datori di lavoro stiano facendo accordi miopi che alla fine danneggeranno gli scrittori e il giornalismo nel suo complesso”.
Anche il NewsGuild of New York, un sindacato che rappresenta i lavoratori di Condé Nast, ha espresso preoccupazione per il rafforzamento dei legami dell’IA con le aziende giornalistiche. “La crescente invasione dell’IA nel giornalismo è una preoccupazione significativa per i nostri membri – ha dichiarato Susan DeCarava, presidente del sindacato -. Ci aspettiamo che la direzione di Condé sia trasparente con noi su come verrà utilizzata questa tecnologia e sull’impatto che potrebbe avere sul nostro lavoro”.
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